Notre-Tanz

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NOTRE-TANZ  (Culture di Confine, 2002) narra l’incontro di una danzatrice col Tanztheater
Insieme a un personale romanzo di formazione (…), Notre-Tanz è il diario di un apprendistato artistico: un prezioso documento sul diffondersi di una nuova idea di scena e su una feconda stagione creativa, ma soprattutto il suggestivo affresco di una città non troppo spesso rappresentata da una simile angolazione (…) Il teatrodanza (questa la disciplina scoperta dalla protagonista) sta infatti al centro del libro come una mera questione di stile, ma è parte di un discorso più ampio, fedelmente agli ideali di una generazione che ha sempre voluto un’arte capace di andare oltre i propri aspetti formali, e in fondo coerentemente alla vocazione di ogni forma espressiva di adempiere a una istanza comunicativa, di essere un agire che mette in relazione fra loro gli uomini. Come d’altronde Victor Turner ricordava, il teatro è essenzialmente una rappresentazione interpretativa: ed il palcoscenico anche in questo romanzo si colloca come metafora dell’attività riflessiva che permette d’interpretare con gli strumenti della messa in scena il proprio ambiente, uno specchio in cui un’epoca guarda se stessa. Tanto che è poi il romanzo a divenire a propria volta una sorta di teatro, in cui l’Albertano sa essere attrice e spettatrice, regista e partecipe al tempo medesimo: con tocchi felici dal sapore allegorico e digressioni ben guidate (proprio quelle che Bologna sembra consentire nelle vie di fuga delle sue strade laterali), seguendo il filo di un racconto che ha il ritmo di un percorso iniziatico e il respiro della storia, ci mostra le varie facce di una città che di conseguenza si rivela anch’essa la forma di teatro, fra portici come quinte e improvvise visioni di giardini nascosti come sipari sollevati. Nella dinamica di quella che è sempre rappresentazione, e non piatto ritratto od oleografia ancorata al bozzetto localistico, la complessa trama delle relazioni sociali, fra vicenda personale, moviemnti artistici e vita cittadina (con i suoi intrinseci e inevitabili legami a un’attualità italiana e anzi europea) delinea allora in maniera convincente lo stertto legame di una stagione artistica con una cultura e una società. Se molta critica ha rivalutato di recente il romanzo come strumento per recuperare nel tessuto vivo delle storie, minuscole e plurali, sotto la patina uniforme dell’ufficialità e della ‘necessità’ della Storia, le tracce di un percorso più vivo e discorde, le testimonianze di un divenire più complesso che lascia intravedere esiti differenti e nuove possibilità, il romanzo di A.A. è anche un invito per ognuno di noi a recuperare la propria memoria e rileggere cioòà che accade oggi, di là dagli slogan dell’attualità, per ricordare chi fummo e decidere noi stessi cosa potremo essere.”
                     Vincenzo Bagnoli in L’Alfabeto di Atlantide, “il Domani- La Stampa”, 21 -9- 2003
“E’ la storia dell’emergere e del chiarirsi di una vocazione teatrale, di un apprendistato (…)  dietro quel laboratorio di arte e di vita si affaccia l’immagine di una generazione che ha cercato nel teatro un “altro” e un “oltre”.
                                                                                 Gianni Manzella , “il manifesto” , 27 aprile 2003